Ogni ente ha la sua struttura: lo stesso atomo nelle sue microscopiche misure possiede un nucleo e degli elettroni. Anche lo Stato ha le sue strutture, evidentemente non così materiali, ma comunque tali da consentirgli l’esistenza e la identificazione. Uno Stato è, allorché gli elementi costitutivi (popolo, territorio, sovranità) si armonizzino in un tutto organico. Uno Stato si presenta democratico, allorché abbia alcuni requisiti che - nella comune accezione - definiscono la democrazia (rappresentanza politica, divisione dei poteri, pluralità degli organi costituzionali, uguaglianza e libertà dei cittadini ecc.). Almeno nella realtà giuridica, la posizione dello Stato è tutta nella Costituzione, poiché è questa che ne pone le strutture e ne dà la forma. Anzi si può affermare che la Costituzione è la struttura propria dello Stato, è lo Stato stesso che si afferma sovrano. Ë l’ordinamento giuridico, che si pone come necessità storico-razionale perché un organismo sia Stato perché uno Stato sia quello Stato e non un altro. Ciò significa che uno Stato senza Costituzione siccome un atomo senza nucleo  non può esistere. Ed è proprio codesta connessione tra Costituzione e Stato che spiega (in senso positivo e non filosofico) la giuridicità di tutte le norme, poiché ogni atto o fatto o rapporto deve trovare – sia pure molto indirettamente - nella Costituzione il principio ed il fondamento. Al di fuori della Costituzione non esiste perciò comportamento legittimo o giuridicamente giustificabile. Vi possono essere solo azioni di varia virtù ed origine, che, qualora siano di vasta portata, possono sortire effetti diversi: o giocare come freno all’attuazione della Costituzione (il che è improbabile perché le forze umane tendono al progresso) oppure agire come stimolo alla semplice riforma costituzionale (che in fondo è riforma dello Stato stesso in quella particolare struttura non più adeguata) od infine porre in crisi la Costituzione (rivoluzione pacifica o violenta che sia). Sono azioni ben spesso politiche, che - storicamente rappresentando esigenze ed interessi di fatto, patrimonio di economia - non sono qualificabili giuridiche. Ma la loro verificazione importa nuova Costituzione, nuove strutture, nuovo Stato: il vetusto cede il nuovo, sopravvivendo solo nell’attuale validità dei principi non abbandonati. Ne segue che la Costituzione è anch’essa un prodotto storico e, come tale, soggetta al divenire proprio di tutti ciò che vive nella storia. La Costituzione è la legge fondamentale, che stabilisce L’attività e l’organizzazione legislativa, esecutiva e giudiziaria dello Stato, prevede i diritti ed i doveri dei cittadini nei loro rapporti civili, etico-sociali, politici ed economici. Dall’assunto definitorio sembrerebbe che la Costituzione contenga tutto il diritto. Ë però di comune osservazione che una condotta delittuosa non viene punita secondo il dettato costituzionale od anche che un artigiano assicurato non è assistito ai termini di esplicite norme costituzionali. Il rilievo ha la conseguenza di prospettare una differenziazione tra leggi costituzionali percettive e leggi costituzionali programmatiche. Le norme sulla libertà, sull’uguaglianza ecc. sono comunemente considerate imperative, nel senso che già di per sé statuiscono su situazioni, le quali si riconducono così immediatamente al dettato costituzionale. Tuttavia anche in questi casi - scavando più a fondo-si nota che i limiti e le condizioni perché quei principi (libertà, uguaglianza) si concretizzino nei soggetti sono per lo più specificamente sanciti in altre leggi. Di contro altre norme costituzionali non tanto attribuiscono diritti e doveri, sicché la situazione singola direttamente si rifletta, quanto programmano e dirigono l’attività futura del legislatore. L’art. 45 della Costituzione per es. impegna il legislatore a provvedere alla tutela ed allo sviluppo dell’Artigianato. Le varie leggi a favore della categoria artigiana sono appunto riconducibili a questo dettato. La differenziazione tuttavia, se lascia discernere la diversa portata delle norme anche ai fini di un più profondo sindacato della Corte Costituzionale sulla legittimità delle leggi e degli atti dello Stato e della Regione, non implica un diverso nascimento delle norme medesime. Dal punto di vista della produzione, le norme costituzionali non si diversificano tra loro: tutte sono soggette, anche ai fini di un’eventuale riforma, alla medesima procedura: tutte hanno un’uguale sfera di efficacia territoriale. Data la loro importanza, la revisione e la modificazione delle norme costituzionali possono avvenire soltanto mediante una complessa procedura speciale, diversa da quella adottata per le leggi ordinarie. Per questa ragione, la Costituzione italiana è di tipo rigido, poiché la complessità della procedura rappresenta un ostacolo opposto alla modificabilità delle sue norme. La rigidità garantisce maggiore stabilità ed assicura una profonda e più responsabile valutazione dei fatti storici che possono eventualmente portare alla revisione. Codesta difficoltà di revisione implicitamente limita la Stessa potestà legislativa, contenendola anche politicamente nell’orbita tracciata dalla Costituzione, è dunque una riaffermazione dello Stato di diritto. Anche se il testo delle leggi costituzionali è esaminato con la normale procedura, tuttavia esso s’intende approvato soltanto dopo due distinte votazioni di ciascun ramo del Parlamento. E tra le due deliberazioni deve esservi un intervallo non minore di tre mesi, con l’evidente scopo di consentire una valutazione più ponderata degli effetti che al provvedimento si ricollegano. La maggioranza richiesta è del 50+1% dei componenti (non quindi dei soli presenti) di ciascuna Camera. Ma non basta: il testo infatti, cosi approvato, pur pubblicato, è sottoposto a referendum popolare, allorché entro tre mesi dalla pubblicazione un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori oppure cinque Consigli regionali ne facciano domanda. La legge in tal caso è promulgata solo se è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Il referendum tuttavia non è ammesso se la legge sia stata approvata nella seconda votazione a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Come ognuno vede, la produzione della norma costituzionale si differenzia da quella della norma ordinaria, negandosi così lo scambio tra le Leggi di diversa fonte. Codesto rigidismo potrebbe apparire siccome un ingiustificato limite al rinnovo statutale o, meglio, siccome un rifiuto ed un elastico adeguamento delle strutture fondamentali dello Stato alle esigenze concrete della vita sociale. Ma quest’apparenza di relativo immobilismo (anche un anno per la riforma costituzionale rappresenta un periodo ben breve di tempo, se si considera l’importanza dell’atto) si deve interpretare come difesa delle istituzioni democratiche, su cui lo Stato poggia, ma soprattutto, come negazione politica del facile e dannoso compromesso nella revisione costituzionale. In definitiva la complessità della procedura garantisce, sia pure formalmente, che il rinnovo costituzionale non sia il portato di un gruppo politico o l’ispirazione di situazioni transitorie e speciali, ma l’effettivo tradursi in termini di legislazione fondamentale di esigenze generali vive e concrete, storicamente e politicamente valide: la vuota formula non può e non deve trovare posto nella Costituzione.
Claudio Furcolo