Il diritto alle prestazioni è strettamente legato all’obbligo contributivo. L’inadempimento, pertanto, importa la temporanea impossibilità di chiedere ed ottenere le prestazioni.
Il concetto dell’automatismo delle prestazioni è stato elaborato nel campo delle assicurazioni sociali, partendo dall’esame di alcune norme, le quali — mirando a regolare il diritto alle prestazioni — dispongono che l’assicurato sia assistito indipendentemente dall’adempimento contributivo. Ë cioè condizione necessaria e sufficiente del diritto all’assistenza il semplice possesso dei requisiti previsti per la costituzione del rapporto assicurativo nel lavoro subordinato, pur lasciando insoddisfatto l’obbligo contributivo. L’automatismo delle prestazioni nella disciplina legislativa
Com’è noto, l’art. 27 del D.L. 14 aprile 1939 n. 636 prevede che il requisito della contribuzione s’intende verificato anche quando i contributi non siano stati effettivamente versati; più esplicitamente e con formulazione formalmente più corretta, l’art.11 della legge il gennaio 138 statuisce che il lavoratore ha diritto alle prestazioni anche se, al verificarsi della malattia, il datore di lavoro non abbia versato I contributi. Di automatismo, perciò, si parla limitando il significato del termine allo svincolo dei diritto alle prestazioni dall’obbligo contributivo altrui. Gravando la responsabilità contributiva sul datore di lavoro (art. 10 della legge n. 138), l’eventuale omissione del versamento per insolvenza o mora del debitore non turba il diritto del lavoratore all’assistenza. L’automatismo proviene, dunque, dalla diversità di legittimazione: il datore di lavoro per l’obbligo contributivo, il subordinato per il diritto alle prestazioni. In altri termini, il legislatore — considerando che il responsabile della contribuzione è soggetto diverso dal beneficiano delle prestazioni — ha stabilito che il diritto all’assistenza non sia condizionato dall’eventuale insolvenza del datore di lavoro. Ha pertanto scisso il diritto dall’obbligo in modo tale da creare due rapporti distinti: l’uno tra Istituto assicuratore e assicurante (datore di lavoro), che si qualifica come rapporto contributivo; l’altro tra assicuratore e assicurato (lavoratore), che attiene alle prestazioni. Entrambi i rapporti presuppongono e ripetono dal rapporto assicurativo, volendosi significare che la loro vicenda a questo intimamente si collega. Ed i rapporti — si badi — non interferiscono tra di loro, in tal modo permettendo che inadempimento dell’uno non incida sulla vitalità dell’altro. Solo cosi viene garantito che la responsabilità di un soggetto (datore di lavoro) non leda i diritti di un altro soggetto (lavoratore). L’assunto d’altra parte non nega la relazione intercorrente tra prestazione e contribuzione poiché — qualora ciò non fosse — si potrebbe giungere all’assurdo di una continua erogazione assistenziale senza il necessario corrispettivo d’entrata. A tal fine il legislatore, pur tenendo distinti i due rapporti, ha previsto alcuni strumenti punitivi per evitare insolvenze: more, pene pecuniarie, rivalse costituiscono appunto i difensori del regime contributivo.
Perché l’automatismo non è applicabile all’assicurazione dl malattia per gli artigiani
La legge 29 dicembre 1956 n. 1533 invece indirizzandosi ai lavoratori autonomi, non può ovviamente giocare sulla duplicità dei soggetti: l’identificazione tra assicurante ed assicurato esclude che possa essere operata la efficace discriminazione tra responsabile della contribuzione e beneficiano delle prestazioni. L’artigiano ha ad un tempo diritti ed obblighi, vicendevolmente condizionatisi. L’eventuale omissione dei versamento contributivo, pertanto, costituisce un fatto soggettivo di responsabilità che si riflette sullo stesso soggetto, determinando un congelamento  dei suoi diritti. L’assicurazione, essendo obbligatoria, permane, ma non è temporaneamente vitale, perché l’inadempimento dei debito genera una stasi che cederà alla dinamica naturale del rapporto non appena il pagamento interviene. Se cosi non fosse, effettivamente l’equilibrio tra entrate ed uscite non potrebbe sussistere, anche perché nel sistema della assicurazione malattia per gli artigiani mancano quegli strumenti (pene pecuniarie), che altrove dissuadono dalle insolvenze. Né il legislatore ha previsto lo strumento tecnico per sostenere l’automatismo. Certo, il carattere squisitamente sociale dell’assicurazione e l’intervista dello Stato potrebbero costituire dei validi argomenti per sostenere che ci troviamo di fronte ad un rapporto sui generis, in cui cioè l’inadempimento degli obblighi non precluda l’esercizio di eventuali diritti. Ché anzi l’insolvenza per nullatenenza. appunto per il suo stato di bisogno, dovrebbe vieppiù essere soddisfatto nelle sue richieste sanitarie. Ma è dato obbiettare che nella fattispecie si attua un rapporto assicurativo con soggetti pubblici di Previdenza e non di Assistenza, enti cioè eroganti prestazioni sanitarie con un bilancio in parte alimentato dagli stessi assicurati. Lo stesso contribuio dello Stato non è indiscriminato ma capitano, elargito con calcolo matematico sulla base delle risultanze dei ruoli contributivi. E, poiché il principio dell’epurazione importa che gli insolventi non siano riportati nei ruoli futuri, anche la contribuzione statale viene meno. L’eventuale erogazione delle prestazioni all’inadempiente sarebbe perciò a priori scoperta. Vi sono tuttavia delle norme, che lasciano perplessi. L’obbligo, imposto ai Comuni, di accollarsi i contributi degli artigiani poveri e la sollecitazione legislativa agli E.C.A. in favore degli artigiani indigenti fanno meditare sulla effettiva volontà della legge. In ogni modo cioè sembra che il legislatore intenda far coprire l’onere contributivo. Codesto rilievo non ridonda certo a favore dell’automatismo, poiché l’estrema cura di assicurare l’adempimento vieppiù convalida la tesi della correlazione tra prestazione e contribuzione. In definitiva l’analisi comparata della legge sull’assicurazione di malattia per gli artigiani porta all’illazione alla non applicabilità del principio dell’automatismo delle prestazioni. Il problema, comunque, è grave e si spera solo che la sua gestazione importi un’interpretazione autentica, tecnicamente concepita, o, meglio, una soluzione legislativa inequivoca.
Claudio Furcolo