Le azioni umane sono quasi sempre governate dal diritto; non solo le più vistose ma anche le più umili. Questo perché il diritto è un prodotto dell’attività creativa dello spirito ed agli uomini è appunto apparso necessario disciplinare la propria condotta per vivere nell’ordine e nella pace. Purtroppo ciò non sempre è ed è stato. L’esperienza insegna che ¡ contrasti hanno un loro gioco e le liti siccome le guerre (perché la guerra è una lite vista al microscopio) sono ben spesso ricorrenti. Ma, grazie a Dio, l’umanità si è sempre ripresa dal disordine, provocato dalla guerra, in virtù anche dei principi morali, che appunto affermano l’amore ed il rispetto il prossimo. Se questo ordine spontaneo, germogliato dalla morale, non viene osservato, sottentra allora il diritto, che - servendosi della forza - sanziona la condotta che si deve tenere perché le cose restino o vengano rimesse al proprio posto. Naturalmente non sempre questo è possibile; vi sono dei beni (es. la vita umana) che, una volta distrutti, non sono più recuperabili. Ed allora il diritto può soltanto punire. Non interessa quivi se la pena abbia funzione repressiva, la funzione di retribuire il male col male; importante è invece che la pena, minacciata dal diritto, costituisca un controstimolo alla tentazione, intimidendo e, quindi, prevenendo il punito e gli altri dal commettere delitti. Il diritto è dunque, soprattutto comando di tenere una determinata condotta positiva o negativa. Evidentemente il diritto ha avuto i suoi sviluppi perché cammina con la società: anzi è un prodotto di questa. Progredisce l’una, progredisce l’altro. Il diritto vive nella storia e con la storia. E così i bisogni degli uomini accrescono, il diritto si moltiplica. Le XII tavole condensavano quasi tutto il diritto arcaico romano; i numerosi e voluminosi codici attuali contengono solo una minima parte della legislazione vigente. La moltiplicazione delle leggi consegue perciò ad una necessità storica, sebbene non storica sia l’inflazione legislativa, che- oggi come non mai - rende incerto ciò che deve essere certo: la funzione dei diritto che è di scienza e di certezza dei comportamento da tenere viene evidentemente travolta dalla materiale impossibilità (non dico dell’uomo semplice) dello stesso giurista di conoscere le leggi. Un imperatore, Giustiniano, è famoso soprattutto per avere messo ordine nel diritto nel diritto, che già allora andava disperdendosi. Come il volume del diritto, così anche le fonti di produzione dei diritto sono col tempo mutate. La radice suprema è sempre l’uomo, anzi la famiglia, cellula fecondatrice e vivente della società. Le prime leggi si configurano appunto come manifestazione di volontà del padre e della madre (patriarcato o matriarcato). Sono leggi tacite, non scritte, più spesso semplici cenni sempre religiose. Poi man mano il minuscolo stato cresce; diviene gente, tribù, città, nazione. Per prima vi è solo un privilegiato, il capo, cui spetta legiferare. Poi gradualmente il capo si contorna di luminari, che io consigliano e Io aiutano nel condurre ed amministrare i cittadini. Infine — come è oggi dato vedere — si afferma il popolo, che elegge democraticamente propri rappresentanti (deputati e senatori) alla direzione dello Stato.
La legge
La legge - come si è detto - è un comando, perché il precetto in essa contenuto (tieni questa condotta, non uccidere ecc.) è rafforzato dalla sanzione, cioè dalla pena (se uccidi, ti punisco). Ma codesto comando, perché si osservi, è necessario venga emanato prima che si tenga una condotta diversa da quella voluta. Se ad esempio una persona ingiuria un simile, è necessario - per ritenere taIe comportamento delittuoso - che preesista una norma, la quale prescriva di non ingiurare. Il comando allora non può essere concreto e specifico, cioè rivolto a quella persona che ingiuria, ma deve essere logicamente ipotetico e generale. La formulazione della legge pertanto sarà: “chiunque..., è punito”, od anche” il cittadino che...”; oppure “il contratto può essere sciolto” e segue la sanzione. Viene così introdotto l’elemento della forza. In che è la più apparente differenza tra il diritto e la morale. Appositi organi infatti provvedono, qualora la legge sia trasgredita, ad erogare la sanzione, che — per essere una pena — viene evidentemente attuata contro la volontà del punito. Codesta sanzione reca la nota di inviolabilità dei diritto, non solo della legge penale ma anche di quella civile e così via. Sono una sofferenza imposta sia il carcere che la restituzione di un bene, sia la multa che la contravvenzione. Non sempre di ciò se ne ha nozione. Ma sarebbe sufficiente osservare La reazione di un automobilista multato per averne convinzione. E la pena viene imposta non solo per essersi commesso un fatto (delitto commissivo: furto, violenza) bensì anche perché non si è fatto qualcosa che si doveva fare (delitto omissivo: un automobilista non soccorre l’investito). Logicamente la pena è graduabile in relazione alla gravità della condotta illegale. La graduabilità è in funzione non solo del valore del bene violato (via umana, un oggetto prezioso, una matita) ma anche della volontà o della semplice coscienza di fare del male (dolo, colpa). Diversità di sanzioni e varietà di comandi costituiscono dunque il contenuto della legge, la quale, per ciò stesso (ed anche perché vive nella storia), risente l’influsso delle condizioni politiche, economiche, morali e religiose del momento in cui viene emanata. La legge — come si vede — è un atto molto importante, onde è necessario si rivesta di una certa forma, che per lo più è scritta. Ma la forma non si ferma alla manifestazione esteriore della volontà della legge, si spinge anzi sino alla stessa produzione, che avviene attraverso tutta una complessa e quasi rituale procedura. La stessa Costituzione prevede e predispone questo iter. Ognuno vede però che nel sancire determinate condotte o nel disciplinare i fatti della vita concorrono atti diversi. Non solo le norme dei codice penale e civile, ma anche le leggi amministrative, fiscali, procedurali, che — se pure si riconducono sotto l’unico sotto l’unico denominatore della normatività — hanno tuttavia caratteri e derivazioni affatto lontani. Ad esempio, una legge, emanata dagli organi legislativi, può avere contenuto prettamente amministrativo (bilanci, contratti dello Stato, concessioni di gestione di un pubblico servizio). Sotto l’aspetto Formale, ci troviamo di fronte ad una legge; sostanzialmente invece, cioè riguardo al contenuto, la stessa è un mero atto amministrativo. Viceversa il decreto, atto formalmente amministrativo, spesso ha il contenuto tipico della legge, in quanto statuisce norme di condotta generali ed astratte. Si vuole, nel primo caso, parlare di leggi in senso formale, poiché - pur promanando dagli organi legislativi — possono avere qualsivoglia contenuto; si dicono, le seconde, leggi in senso sostanziale, in quanto — pur emanate dal potere esecutivo - hanno la sostanza vera della legge. Ma lo Stato è una unità complessa. Gli interessi, per cui legifera, sono i più disparati. Capita allora che esso per ovviare ad un accentramento legislativo, che potrebbe portare a tralasciare problemi propri di una parte del territorio nazionale, si serva di altre strutture interne. Le regioni, le provincie, i comuni costituiscono appunto degli enti periferici autarchici, che provvedono a codesti interessi locali e che hanno propri poteri normativi, sebbene limitati per estensione e per materia. Un’ordinanza dei sindaco va rispettata dai residenti del comune ed alcune volte anche dai non residenti (si pensi al limite di velocità degli autoveicoli) siccome atto normativo. Le Regioni in particolare hanno un vero e proprio potere legislativo, riconosciuto dalla stessa Costituzione. Ë un potere ovviamente limitato, ma - contenuto nei confini di competenza - non differisce strutturalmente da quello dello Stato stesso. I modi e le fonti di produzione legislativa, dunque, sono vari. Leggi costituzionali, leggi formali, leggi regionali, decreti delegati e non, regolamenti, ordinanze ecc. hanno tutte una officina propria, grande o piccola che sia, ma in tutti i casi necessaria. D’altra parte iI prodotto di codeste officine non sempre è sufficiente e rifinito. Se cosi fosse, non vi sarebbero più delitti e contravvenzioni. Certo, generalmente, v’è obbedienza spontanea e la norma si presenta di facile intelligibilità. Ma, anche spesso, ciò non è. Ed allora appositi organi, i giudici, provvedono a rifinire il prodotto, ad accertare cioè il diritto concretizzandolo. Cercheremo ora di introdurci nelle officine legislative per esaminare il processo di produzione nelle sue varie fasi, facendo fin d’ora presente che — dato il carattere meramente informativo dei nostro scritto — l’espressione tecnica cederà, quando è possibile, alla esposizione semplice e chiara.
Claudio Furcolo